mercoledì 21 dicembre 2011

Post cumulativo di esperimenti

In questo periodo freddo e tormentato sento il bisogno di sperimentare un po', ecco i risultati...






lunedì 9 maggio 2011

Racconto #2: Tutte Morte

Attenzione, in questo racconto sono presenti linguaggio forte e situazioni oscene.
Vecchio racconto di molti anni fa...

TUTTE MORTE
di Marco Dominici



Con quel freddo erano tutte morte. Le zanzare. Un'ondata di freddo a fine Agosto si era portata via tutte le zanzare. Ora non erano più un problema.
Erano tutte morte.
E neanche il freddo era un problema. Il riscaldamento autonomo era un vantaggio. A casa mia c’era un bel caldo. Non mi è mai piaciuto il freddo, anche quando si porta via le zanzare.
La ragazza aveva conservato un bel po’ della sua antica bellezza. Doveva essere stata una molto sicura di se, forte della sua intelligenza e del suo fascino. Aveva delle movenze gentili e, da come parlava, si capiva che era istruita. Esplorava con gli occhi la mia casa. Non doveva piacerle molto, stando alla sua espressione. Non le piaceva il divano puzzolente e bucato su cui sedeva. Non le piaceva il pavimento ingombro di cicche, cartacce, spruzzi di sangue e rare e coraggiose blatte che ogni tanto lo attraversavano di corsa. Non le piacevano i muri spogli con l’intonaco che cadeva a pezzi. Ma alla fine non le importava.
Se ne stava seduta sul divano, totalmente indifferente a tutto, al freddo o al caldo, alle zanzare o a me. Indifferente a tutto tranne che al grammo che stavo pesando.
Un grammo di roba cattiva, robaccia da niente tagliata e ritagliata.
Mentre pesavo mi venne un’idea. Questo perché lei stava seduta con le gambe aperte e potevo vederle le mutandine rosse. Il rosso mi ha sempre fatto impazzire.
Davvero.
- Uhm... senti. Voglio essere onesto con te. Questa roba non è un granché. -
Lei non sembrò molto colpita e questo mi offese un po’.
- Ah si? -
Alzò la testa quel tanto che bastava per farmi vedere gli occhi attraverso i suoi ciuffi viola. Un gran colore anche quello. Il viola.
- Si beh, vedi, ne ho dell’altra che è una bomba, veramente, questa qui, al confronto, è merda. -
La tipa mi prestò più attenzione. L’argomento la interessava. Lo vedevo dai suoi occhi.
Non stava a ruota, era troppo tranquilla, quindi dovevo lavorarmela bene e con molta calma.
- Solo che costa un po’ di più. -
Anche questo non la stupì più di tanto.
-E quanto costa? -
- Il triplo. -
Si tirò su dritta di scatto. Mi fissò molto seriamente.
- Ma sei pazzo?! Senti amico, dammi il mio grammo che me ne devo andare. -
Io avevo capito bene quello che dovevo e volevo fare.
- Ascolta, facciamo così: Te ne faccio provare un po’, poi scegli. -
Lei si risistemò sul divano. Si tolse la giacca di pelle.
Io andai a prendere un po’ di quella buona. Ero sicuro che avrebbe lavorato bene la mia roba. L’avrebbe stupita come niente e nessuno avrebbe mai potuto fare.
Preparai una siringa, lo feci molto lentamente. Lei cominciava ad essere impaziente. Il caldo, la mia menata su quanto fosse buona, il fatto che fosse lì davanti a lei, la mia lentezza. Cominciò ad agitarsi. Muoveva le gambe come se seguissero un ritmo tutto loro. Si tormentava i capelli con le mani. Mi fissava.
- Ehi amico, qui fa veramente caldo. -
- Sì. -
Poi gli passai la siringa. Lei la prese con calma, cercando di trattenersi.
- E tu? Ne hai preparata solo una. -
- Io... – gli dissi - ...adesso non mi va. -
Lei mi guardò con sospetto. Ma non ci pensò molto, non doveva dividerla con me, e questo era l’importante.
Se la sparò nella vena. I suoi muscoli si tesero velocemente, poi si rilassò, si accasciò sul divano come un sacco di patate, i suoi occhi si socchiusero.
- Cazzo... ne voglio ancora. -
Io guardai tra le sue cosce. Quel rosso mi faceva impazzire.
Aspettai che si riprendesse un po’, godendomi lo spettacolo.
Quando fu di nuovo in grado di darmi retta le preparai la roba buona. Lei ne voleva di più, e non voleva la merda di prima, ma non aveva abbastanza soldi.
Questo era un problema che la sua mente fatta non sapeva come risolvere. Così decisi di darle un suggerimento.
Le misi una mano sul ginocchio.
- Ascolta, non c’è bisogno che paghi per forza con i soldi. -
La tipa non fece finta di non capire. Non le fregava niente. Non aveva importanza. L’importante era che poteva ottenere quello che voleva. Quello che voleva era una cosa sola. E non era tanto diversa da me.
La aiutai a spogliarsi.
Me la feci direttamente lì. La penetrai senza tanti complimenti, era ancora vergine. Diventammo una miscela di sudore, carne e sangue. Mentre la scopavo i capelli viola le danzavano sulla faccia. Lei emetteva dei gemiti ritmati con i miei colpi. Le strizzavo le tette e la penetravo a fondo. La sua pelle era fredda.
Alla fine le diedi un grammo e mezzo di roba buona.
Lei disse grazie e se ne andò barcollando.
- Non c’è di che, è stato un piacere aiutarti. -
Appresi della sua morte due giorni dopo, mentre leggevo il giornale seduto sulla tazza del cesso. Avevano messo su una foto che non doveva essere molto recente. Aveva i capelli più lunghi, del suo colore naturale, e un sorriso dolce.
E’ la prima volta che mi faccio una che poi il giorno dopo muore... pensai. Poi pensai che era già morta da prima, erano tutte morte quelle che passavano per casa mia.
Tutte morte, come le zanzare.



giovedì 31 marzo 2011

Colorando una copertina... Sitael 2

E' da poco uscito "L'ombra del principe", il secondo libro della saga di Sitael, della brava scrittrice e promettente disegnatrice Alessia Fiorentino. Il disegno della copertina è della stessa autrice, mentre i colori sono miei, sono molto contento del risultato finale:


il disegno di Alessia


il disegno con i miei colori ^^


la copertina finale.

Il libro è edito da DarioFlaccovio sul loro sito potrete trovare anche il primo volume della saga. Se amate il fantasy ve lo consiglio...

giovedì 3 febbraio 2011

Racconto #1: Disconnessione

DISCONNESSIONE
di: Marco Dominici

Disconnessione… e mi sveglio.
Sento la voce di mio padre che mi chiama dal buio, sono le sette, mi alzo, mangio, fumo la sigaretta, mi lavo, mi vesto, esco.
La vita incomincia: disconnessione dal buio, dal vuoto, dal nulla; disconnessione, questa parola prima di svegliarmi, mentre mi sveglio.
Stavo sognando, non ricordo cosa, non ricordo nulla, solo quella parola. Disconnessione dal sogno, come spegnere un interruttore, staccare la spina, tagliare i fili, basta, FINE, STOP, buio, e poi la vita che ti butta giù dal letto.
Sangue, grosse gocce di sangue pesanti e viscose che cadono nel lavandino, plick… sangue che si mischia all’acqua e va via, giù nello scarico del lavello.
Il rosso del sangue mi accende, vien voglia di berlo, vien voglia di prendere il dito ferito in bocca e di succhiare sino a prosciugare, vien voglia di fare dei piccoli tagli sul braccio con la lametta e di vederlo uscire, ammirarlo, caldo, corposo, nutriente. Sangue e Carne.
Voglio il tuo sangue.
- Ahi! - mia sorella Gina si è tagliata con il coltello mentre mi preparava la colazione, si porta il dito alle labbra.
- Fammi vedere - le dico mentre prendo un fazzoletto di carta. Le tampono la ferita. Voglio il tuo sangue...
... plick.

Esco di casa, giù in strada con la voglia di volare via, con in mente una goccia di sangue rosso fulgente, con la paura dei miei diciassette anni e la convinzione di dover avere almeno una certezza nella vita.
Dicono che diciassette sia un numero sfortunato, i precedenti lo sono stati... credo, non ricordo.
Cosa ho fatto in tutti questi anni? No, non ricordo e continuo a camminare.
Andrò a trovare Michele.
Qualcun altro dice che il diciassette porti fortuna.
A casa Michele non c'è, la madre mi dice che è andato a scuola.
Vado ai giardini.
Lo trovo alla solita panchina. E' da solo. Se ne sta lì immobile.
Mi siedo accanto a lui.
- Perché vieni sempre qui? -
- Ciao Mario. -
- Mi vuoi dire che vieni a fare? -
- Niente. -
- ... -
- ... -
- Quando tornerai a scuola? -
- Non torno. -
- Perché? -
- Non c'è nessun perché, è così, sto qui e cerco di non pensare, ma non ci riesco mai, è difficile. -
- Oggi non vado neanch'io, facciamo una passeggiata, ho voglia di camminare. -
Gli racconto del dito di mia sorella, sembra che non mi ascolti, ma non è così, lo so come è fatto, sembra sempre che non ti ascolti, guarda davanti a sé con aria assente, con gli occhi spersi, invece non lascia cadere in terra neanche una parola.
Gina gli piace, l'ho visto come la guarda, con attenzione, con curiosità.
Non le ha mai parlato, solo qualche ciao.
Dice che con alcune persone non c'è bisogno di parlare. Ha ragione.

Continuiamo a camminare e a parlare, il resto della giornata si perde in un niente.

Sette e trenta, cosa ho fatto ieri?
Non ricordo, alzati, mangia, sigaretta, acqua e sapone, deodorante, vestiti che fa freddo, metropolitana.
Da dove viene tristezza? Se è tutto buio non ci puoi fare niente, se non vedi niente dietro di te, se non c'è nulla davanti a te, non ci puoi fare niente, aspettare e trascinarti avanti, e sperare che salga qualcuno a suonare una canzone, di quelle vecchie, in modo che tutto cambi, perché così non si può.
E l'uomo sale sul vagone, e attacca una canzone che non conosco, portandomi via lontano dove non sono mai stato, dove non andrò mai, e vorrei dirgli grazie, ma non ho parole per lui, solo qualche moneta.
Due vecchie che sino a quel momento erano state in silenzio lo guardano con diffidenza, commentano tra loro a bassa voce, e quando lui porge il cappello facendo tintinnare le monete che ha raccolto quelle fanno finta di non vederlo. Chissà cosa si sono dette mi chiedo.

Ogni tanto incontro qualcuno che non c'entra niente con il resto, mi accorgo che c'è qualcosa che stona, ma non sono loro, è tutto il resto che non va.
Il contrasto che si crea rende le altre persone di carta, finti, piatti, totalmente inconsapevoli di se stessi, incastrati in un meccanismo che gira a vuoto, e sembra che non se ne rendano conto.
Mentre loro, che si guardano attorno chiedendosi cosa succede, hanno lo stesso sapore di persona vera dei puri personaggi inventati, che si incontrano nei libri.
Quando incontro queste persone le seguo.

Lei è sulla scala mobile davanti a me, si guarda attorno. Si accorge che la sto fissando e lei fa lo stesso, ho l'impressione che voglia dirmi qualcosa, e così distolgo lo sguardo.
Devo andare a scuola, ma comincio a seguirla senza pensarci.
Cerco di non farmi notare, di tenermi a distanza di sicurezza. Non mi interessa conoscerla, quello che voglio è solo guardarla, spiarla senza che lei se ne accorga, vedere come si muove.
Ha qualcosa di speciale, ma non riesco a capire cosa. Sembra che non vada da nessuna parte, passa tra le bancarelle del mercato, ma non si ferma a nessuna. E' abilissima a camminare tra la gente, svicola tra le persone senza quasi toccarle, come se non ci fossero, come fosse di carta sottilissima.
L'ho persa. Cammino più in fretta, cerco la sua testa tra le altre.
E' là, che guarda in alto, un palloncino blu che vola sopra i palazzi, e ancora più su, ma già so che ad un certo punto esploderà, e con lui il suo sogno, perché questa è la sua speranza, essere ogni momento un po'  più in alto di prima, vero?
E invece no, continua a salire, è un puntino blu nell'azzurro del cielo e poi è troppo piccolo, troppo blu per poterlo ancora vedere.
- Che cosa vuoi da me? -
Il cuore mi salta in gola, no questo non doveva succedere, che voglio da lei?
Niente, niente, non dovevi scivolarmi accanto senza che me ne accorgessi, non dovevi proprio.
La guardo senza risponderle, fingo che la mia sorpresa sia innocenza, come se non avessi seguito lei tutta la mattina.
- Perché mi stai seguendo? -
A questo punto non ho scampo, devo inventare un'altra bugia, una mezza verità...
- Veramente... mi piaci, non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso... vorresti uscire con me? - e quando mi rendo conto che la bugia è più vera della verità per un attimo ho la speranza che dica di sì.
- ... -
- ... -
- Sei disperato - ora sorride, che bel sorriso che ha.
- Sei proprio disperato. Peccato, eri anche carino... addio. -
E non c'è più.
Ormai è tardi per andare a scuola.

Sull'autobus non c'è molta gente, ma lo stesso non ci sono posti a sedere.
Così mi aggrappo al sostegno con entrambe le mani e aspetto. Aspetto di arrivare a casa, aspetto vicino alle porte centrali, mentre l'autobus procede, si insinua nel traffico, con il suo carico di persone che aspettano. Aspetta anche lui al semaforo rosso.
Aspetto e guardo le persone parlare, qualcuno sta zitto per fortuna, vorrei spegnermi, sono solo stanco.

Non ricordo in che periodo dell'anno mi trovo, quanto manca alla fine della scuola, voglio andarmene (in nessun posto), voglio andare al mare con mia sorella Gina, fare castelli di sabbia con lei, scavare un'enorme buca e seppellirmici dentro.
Un moscerino mi si infila nel naso, lo aspiro trascinandolo dentro di me prima che me ne randa conto. I polmoni lo rifiutano e comincio a tossire ma non riesco ad espellerlo.
La gente comincia a guardarmi infastidita.
Tossisco ancora più violentemente, non riesco a trattenermi, e alla fine vomito, vomito sulle gambe dell'uomo seduto davanti a me, vomito il palloncino blu, il sorriso della ragazza, la musica lontana, la panchina dei giardini e il sangue di mia sorella.
Non rimane più niente, completamente vuoto.

Il padre di Michele è morto due anni fa.
Viveva da solo, era separato dalla moglie, e ogni tanto Michele andava a trovarlo e qualche volta lo accompagnavo. Suo padre mi stava simpatico, parlava poco ma aveva un sacco di fumetti.
Un pomeriggio lo abbiamo trovato morto, e quando l'ho visto sono corso via. Ho lasciato il mio amico da solo ad occuparsi di suo padre morto, sono un codardo.
Ho corso con lo stomaco in subbuglio, come adesso, corro verso casa dopo aver vomitato sulle gambe di un uomo, corro a casa, forse piango anche, vorrei che ci fosse Gina a casa ad aspettarmi, ho bisogno di lei.
Ho bisogno di lei?
Arrivo davanti al portone e mi attacco al campanello.
E' mia sorella ad aprire la porta, non qualcun altro, è Gina per fortuna.
La guardo negli occhi, proprio nei suoi occhi neri e le chiedo:
- E' pronto il pranzo? -
Lei sorride affettuosamente, mi fa entrare in casa.
- Sì, quasi, come è andata oggi? -
- Bene - ed ora mi sembra veramente che sia andato tutto bene.
E questo mi basta, mi basta davvero.